Nel 2013, quando per la prima volta mi fu presentato il protocollo Bitcoin e il suo funzionamento, il suo prezzo era circa 300 Dollari.
All’epoca, non avendo compreso il fenomeno, mi sono chiesto quale ragione potesse avere una valuta per valere 300 volte più della regina di tutte le valute, ovvero il Dollaro.
Quindi ho lasciato perdere e mi sono concentrato su altro, per poi tornare ad incrociare il bitcoin a fine 2016 e dopo circa sei mesi di studio ho deciso di investirci, non solo personalmente, ma anche come direzione futura della mia azienda.
Sono passati diversi anni e due cicli completi che mi hanno portato a conoscere il Bitcoin inteso come network, molto bene e il bitcoin, inteso come asset digitale con associato un prezzo, forse ancora meglio.
Il centro di ricerca di Diaman Partners ha studiato il fenomeno nel dettaglio, creando dei modelli, semplici ma efficaci, per comprendere le dinamiche di crescita a lungo termine, ma anche il perché il prezzo tende a crescere e perché il Bitcoin ha di fatto un valore intrinseco ben quantificabile, concetto ancora poco noto o del tutto sconosciuto a moltissime persone.
Partiamo da un concetto di micro economia: qualsiasi bene o servizio, per avere un senso di esistere deve avere un’utilità e un costo di produzione e distribuzione inferiore al costo di vendita.
Se mancano uno di questi presupposti, il bene può anche essere prodotto da qualcuno, ma non ha alcun valore perché nessuno lo vuole o è disposto a comprarlo.
Nel caso del Bitcoin, possiamo considerare la possibilità di trasferire del valore in modo sicuro e senza un intermediario un’utilità? Possiamo considerare un asset scarso che non è facilmente pignorabile un’utilità? Possiamo considerare il Bitcoin Network un protocollo transazionale inviolabile?
Ebbene si, il Bitcoin ha un’utilità, al di la del prezzo che può crescere o scendere.
Quindi resta da comprendere come stimare il suo valore intrinseco.
Se consideriamo una proxi del valore intrinseco di un bene, il suo costo di produzione, possiamo stimare il valore intrinseco del Bitcoin in base al suo costo di produzione e vedere come si muove nel tempo rispetto al prezzo.
Se avete compreso il funzionamento del Network del Bitcoin, ci sono dei nodi, chiamati altresì Miners, che hanno il compito di convalidare le transazioni attraverso la cosiddetta Proof of Work, ovvero un lavoro computazionale che costa energia.
Senza addentrarci nel funzionamento del Proof of Work, a noi basta sapere che questi miners devono elaborare degli Hash (delle stringhe di dati alfanumerici) finché non riescono a trovare l’hash giusto che permette di aggiungere il blocco di transazioni alla rimanente catena di blocchi precedente, la cosiddetta Blockchain.
Il fortunato che trova l’hash corretto viene ricompensato con dei nuovi bitcoin emessi nel blocco stesso.
Quindi per semplificare potremmo dire che quei nuovi bitcoin rappresentano l’energia spesa da tutti i Miners del mondo che competono per trovare l’hash vincente.
Di conseguenza possiamo dire che il valore del bitcoin è quantomeno proporzionale all’energia consumata dai Miners per estrarlo.
Esattamente come l’oro.
Alcuni sostengono che il bitcoin sia di fatto energy money, ovvero denaro generato dall’energia ed intrinsecamente legato ad essa, ed in effetti a seguito di questo ragionamento, come dargli torto?
Ma allora, se noi conosciamo il trend di crescita di consumo di energia dei Miners nel mondo, potremmo stimare anche quale sia il trend del fair value price del bitcoin nel tempo.
Conoscere esattamente il costo dell’energia spesa è impossibile, perché l’industria dei Miners è diventata sempre più competitiva nel tempo, però si ha una stima del Hash Rate, ovvero di quanto potere computazionale sia stato impiegato per ogni blocco.
Un altro dato facile da calcolare è la remunerazione (in dollari) per ogni singolo blocco minato al variare del tempo e del prezzo del bitcoin; nel grafico sotto i valori sono mensili per i fini di stima complessiva del modello.
Avendo a disposizione l’ammontare di Hash Rate al mese e la remunerazione data ai miners per ogni mese, si può facilmente ricavare la remunerazione per hash rate nel tempo che come si evince dal grafico sotto è in costante diminuzione, segno di un’industria sempre più competitiva e complessa.
Creando una curva di potenza della remunerazione per hash rate e moltiplicandola per la curva di potenza di crescita dell’hash rate, si può trovare la remunerazione per ogni blocco, che divisa per il numero di bitcoin nuovi emessi in ogni blocco, crea la linea azzurra.
In questo grafico sotto è evidente l’effetto dell’halving, ovvero del dimezzamento del numero di bitcoin emessi ogni 210.000 blocchi (circa quattro anni).
Spero che sia chiaro, dopo questo articolo, che il bitcoin ha un valore intrinseco, ben stimabile e quantificabile.
Mi spiace per i detrattori del Bitcoin che sostengono che non abbia alcun valore intrinseco e nemmeno un fair value price.
Io faccio sempre l’esempio della crema da Donna: il fatto che io non la uso, non significa che non abbia valore per qualcun altro, e lo stesso vale per il Bitcoin, se persone nel mondo lo usano, sia esso come store of value, come investimento, come speculazione o come moneta di scambio, il fatto che io non lo usi non significa che non abbia valore.
Ed il fatto che ci siano decine di migliaia di persone o società in giro per il mondo che sono disposti a spendere energia elettrica per ricevere in cambio Bitcoin, è il chiaro segnale che il Bitcoin ha un valore che loro comprendono bene e visto che ci sono società listate al Nasdaq che lo fanno con profitto da anni, significa che se c’è una pecora nera tra le persone, non sono certo loro.